L’atrofia emifacciale è una malattia rara caratterizzata da atrofia della pelle, dei tessuti sottocutanei, della cartilagine e dei muscoli mimetici di una delle due metà del volto. I casi più gravi conducono alla degenerazione della struttura ossea e possono essere accompagnati da complicanze neurologiche e oftalmologiche, alopecia areata e cambiamenti nel colore dei capelli.
Il trattamento finora effettuato, considerato un paradigma di riferimento, è quello con lembi liberi microvascolari che comporta non pochi effetti indesiderati: significativa morbilità nel sito donatore, tempo operatorio prolungato e rischio di gravi complicanze come l’insufficienza del lembo. Inoltre, il trattamento può comportare una perdita di sensibilità e una scarsa corrispondenza del colore della pelle e può richiedere più procedure di debulking (rimozione chirurgia) per migliorare il risultato estetico.
Il metodo che sta progressivamente prendendo piede è invece il lipofilling, ovvero il trasferimento di grasso autologo per ricostruire i tessuti molli distrutti e ripristinare la simmetria facciale. La natura morbida dell’innesto si traduce in un contorno e un’espressione naturali del viso e in una migliore qualità della pelle, ottenuti attraverso una procedura sicura, economica e ripetibile nel tempo.
Nonostante alcuni limiti riscontrati, tra cui il riassorbimento del grasso innestato e dunque la necessità di replicare il trattamento, ad oggi si rivela la tecnica più efficace per ottenere buoni risultati estetici e alti tassi di soddisfazione dei pazienti e che, secondo alcuni studi, sembra poter essere utile nello stato attivo della malattia per inibirne o rallentarne la progressione e persino per contribuire a stimolare la rigenerazione dei tessuti.
Articolo rielaborato da Pietro Lorenzetti
Originale pubblicato in:
Aesthetic Surgery Journal
Vol 40(3) NP103–NP105
© 2019 The Aesthetic Society.
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DOI: 10.1093/asj/sjz284
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