Alcuni giorni fa, commentando la mia partecipazione a Medicina33 in cui ricordavo ai pazienti l'importanza di rivolgersi sempre a professionisti qualificati per evitare spiacevoli conseguenze, un collega su Facebook ha stimolato un mio intervento sull'argomento della sicurezza in chirurgia plastica.
Data la delicatezza della questione, ho ritenuto opportuno prendermi qualche giorno per commentare con attenzione la questione da lui sollevata. Ecco di seguito il suo invito e la mia riflessione.
Egregio collega,
ho preso qualche giorno per riflettere con calma sulla questione da te posta. Mi scuso anticipatamente per la lunghezza della mia risposta, ma i termini seri della questione impongono un’analisi complessa ed elaborata.
In premessa al mio ragionamento, voglio evidenziare che non ho né intenzione né motivo di difendere il mio operato. Parlano per me la Specializzazione Universitaria in Chirurgia Plastica, Ricostruttiva ed Estetica, le qualifiche conseguite all’estero, in particolare in Brasile, negli USA e in Francia, e i numerosi pazienti che continuano a ringraziarmi dopo anni per aver ritrovato serenità con sé stessi grazie al mio lavoro o che tornano per sottoporsi ad altri trattamenti. Se avessi avuto molti insuccessi, di certo non avrei tutte le richieste che ho oggi.
Ma non sono qui a tessere le mie lodi, non sta a me farlo. Piuttosto, ritengo fondamentale rispondere alla tua sollecitazione stimolando una complessa riflessione sullo stato della nostra professione, sulla necessità di regolamentarla maggiormente e sull’importanza di tutelare primariamente l’interesse e la salute del paziente.
Partiamo dalla considerazione che gli episodi negativi possono accadere nella carriera di tutti, altrimenti non avrebbe senso l’obbligo legislativo per ogni chirurgo di stipulare un’assicurazione che tuteli il paziente, innanzitutto, e il professionista. E come ben sai, nel caso della chirurgia plastica, i premi assicurativi hanno un costo enormemente superiore a quello di qualsiasi altra branca medica, proprio perché le compagnie sono ben a conoscenza del proliferare di incompetenti nel nostro lavoro.
Venendo alla tua richiesta di pubblicare sul sito il numero di “denunce per malpractice”, ritengo che dichiarare semplicemente (e banalmente) questo dato sia piuttosto sterile come informazione in sé: si potrebbe avere anche solo una denuncia, ma magari il paziente ha subito danni gravissimi, se non irreparabili. E chi assicurerebbe al paziente che quel numero è reale? Pensi che medici con 20-30 denunce nella loro carriera, lo dichiarerebbero candidamente sul proprio sito? Il numero di denunce da solo non credo sia indicativo, ammesso che, come detto, possa essere considerato veritiero dal paziente. Inoltre, questo dato non aiuta a centrare i termini del problema e ad identificare la reale causa alla base di tanti errori ed orrori nella nostra professione.
I termini della questione, a mio modo di vedere, sono altri ed attengono agli aspetti regolatori di accesso alla professione. Gli errori in chirurgia plastica si verificano primariamente a causa di una enorme lacuna normativa che evidenzio da anni.
Come ben sai, tranne che per anestesisti e radiologi, oggi in Italia per esercitare in una branca medica specialistica è sufficiente essere laureati in Medicina e Chirurgia, abilitati alla professione ed essere iscritti all’albo dei medici. Non esiste alcuna legge che obblighi chi si dichiara oncologo, urologo, cardiologo, ecc., a specializzarsi all’università per esercitare la professione. Converrai con il sottoscritto che si tratta di una vera e propria lacuna normativa che, in sé, può potenzialmente mettere a gran rischio la salute dei pazienti. È pur vero, fortunatamente, che la maggior parte dei nostri colleghi che operano in questi ambiti provengono da un percorso accademico di specializzazione, spesso richiesto dalle strutture pubbliche e private in cui operano a garanzia della qualità e della sicurezza dei pazienti.
Purtroppo, questo non è sempre vero per i chirurghi plastici, soprattutto per coloro che esercitano come liberi professionisti. L’usuale quanto erronea omologazione tra “medicina estetica” e “chirurgia plastica” ha portato sempre più medici estetici ad improvvisarsi chirurgi plastici. Per capirci, chi fino al giorno prima faceva le “punturine” di tossina botulinica, il giorno dopo ha cominciato a fare la mastoplastica, l’addominoplastica, il lifting, ecc., “facendosi bastare” uno dei tanti corsi e corsetti che si trovano sul mercato, modesti sia per costi che per impegno di studio. Insomma, ci sono tantissimi che dalle iniezioni al sopracciglio sono passati, senza alcuna preparazione universitaria, a “tagliare e cucire” il corpo delle persone. Questa è, purtroppo, la vera ragione per la quale circa il 50% dei miei pazienti si rivolge al sottoscritto a causa di interventi precedenti andati male: si sono sottoposti ad operazioni in strutture non all’altezza, affidandosi a “chirurghi plastici” che si fregiano di questa qualifica senza aver conseguito alcuna specializzazione accademica.
Ritengo che si debba fare ancora molto nella tutela dei pazienti che si sottopongono ad operazioni di chirurgia plastica e a trattamenti di medicina estetica, innanzitutto stimolandoli ad informasi sulla pratica chirurgica che richiedono e sul professionista a cui si rivolgono. Ma queste tutele, più che rimandate alla sola valutazione del paziente stesso (che spesso si lascia, purtroppo, attirare solo dal prezzo), o alla “buona volontà” del chirurgo, dovrebbero venire da una più stringente regolamentazione del settore, con regole più ferree imposte dalle istituzioni per l’accesso alla professione. Ed è per questo che mi batto, da anni, anche all’interno di organi istituzionali come l’AICPE.
Alla luce di queste considerazioni, sono convinto che converrai con me sulla necessità di ripetere costantemente il “mantra del chirurgo plastico esperto”, come lo definisci tu. Quando mi trovo a parlare in pubblico delle questioni legate alla sicurezza dei pazienti in chirurgia plastica, specifico costantemente che bisogna sempre rivolgersi a medici chirurghi in possesso di una Specializzazione Universitaria in Chirurgia Plastica, Ricostruttiva ed Estetica. A questo requisito, che ritengo minimo per la sicurezza del paziente, va aggiunta possibilmente l’esperienza del chirurgo plastico, il suo senso estetico e, non ultima, la sua capacità di capire le reali motivazioni che spingono all’intervento.
Sì, lo ammetto questo è il mio “mantra”, ne vado molto orgoglioso e ti invito, caro collega, a ripeterlo costantemente anche tu qualora ti dovessero capitare occasioni di visibilità pubblica. Personalmente ritengo che sia mio compito professionale e morale. Lo devo ai pazienti, alla loro sicurezza, oltre che a me stesso e ai sacrifici che ho fatto per studiare e specializzarmi, dopo un lungo e faticoso percorso accademico, in Chirurgia Plastica, Ricostruttiva ed Estetica.
Cordialmente,
Pietro Lorenzetti