Sono oltre vent’anni, quasi trenta per
la verità, che mi occupo di chirurgia. La studio, la pratico, ne scrivo.
Nel 2009 ho pubblicato il mio primo libro, “Intelligenza estetica”, una
serie di riflessioni su altrettante storie emblematiche, ma accomunate
da un unico punto di vista: l’approccio. Un approccio che rifugge gli
eccessi, che mira a ottenere risultati naturali. Tanti anni fa si diceva
che l’intervento migliore era quello che non si vedeva, mentre oggi ci
siamo abituati, ahimè, a esempi di cattiva chirurgia, facce stravolte,
errori grossolani.
Dopo aver pubblicato quel libro sono stato più volte intervistato,
invitato in trasmissioni tv e mi sono ritrovato a commentare il perché
di questa ossessione per l’aspetto estetico, anche dal punto di vista
sociale e antropologico. Ho sempre detto che un buon chirurgo plastico
deve essere un ottimo conoscitore dell’anatomia e della meccanica… e
avere anche doti di psicologo. «Che c’entra?», penserà qualcuno. Il
punto è molto semplice: immaginiamo una ragazza di un metro e sessanta
di altezza. Il suo corpo non le permette di sfoggiare una quinta misura
di reggiseno, ma allora perché chirurghi senza scrupoli sottopongono le
proprie pazienti a queste operazioni? Solo per soddisfare un capriccio? È
sbagliato, bisogna indagare le motivazioni che spingono all’intervento
e, in alcuni casi, noi chirurghi abbiamo l’obbligo di dire di no.
Certo, nel corso degli anni ho visto donne, ma anche uomini, che dopo
essersi sottoposti a un determinato intervento hanno cambiato il loro
modo di camminare, di porsi con gli altri: ogni operazione di chirurgia
plastica incide sul nostro essere, sul nostro carattere e forse sulla
nostra anima.
I personaggi dello spettacolo si rivolgono spesso alla chirurgia
plastica: per necessità professionali non possono non mostrarsi al
meglio, anche sottoponendosi a interventi leggeri di tanto in tanto. Chi
lavora in quel mondo lo sa bene. Certo, l’aspetto è importante, ma chi
punta solo sull’aspetto estetico ha vita breve. Una regola impietosa ma
ben chiara nel mondo della moda, in cui la cura maniacale dell’estetica
deve essere accompagnata ad una mentalità lucida e imprenditoriale. Le
modelle più belle del mondo di successo sono diventate a fine carriera
imprenditrici, mentre quelle che hanno puntato solo sulla bellezza sono
finite a fare le commentatrici in qualche trasmissione di secondo
ordine.
E che dire del rapporto forse più complicato di tutti quando si parla di
bellezza, ovvero quello tra madre e figlia? Ammetto che si tratta di un
argomento a me molto caro, per questo lo scorso anno ho deciso di
raccogliere alcuni casi di altrettante donne e raccontarli in un libro,
Specchio delle mie brame: madri e figlie a confronto. Bellezza,
estetica, fascino e seduzione: se fino a trent’anni fa accettare che una
figlia crescesse era il segno del proprio declino naturale, oggi è un
elemento di competizione, anche per via proprio della tv, e per
accettarlo ci vuole molto equilibrio e maturità.
In ogni caso, dal ritocchino occasionale a chi cerca la perfezione a
tutti i costi deve valere una costante: ogni intervento di chirurgia
plastica plasma il corpo del paziente e in quanto tale va portato avanti
con criterio. E se quella famosa ragazza di un metro e sessanta ci
chiede una mastoplastica additiva
per raggiungere la quinta di reggiseno, è compito del chirurgo plastico
farle comprendere il problema. Un problema che, altrimenti finirà
indubbiamente per condizionarle la vita, dal punto di vista estetico,
psicologico e, in futuro, posturale.
Se non adotteremo questo approccio, in futuro ci ritroveremo ancora
inevitabilmente a parlare degli eccessi della chirurgia plastica, degli
errori, di cattiva chirurgia, di facce stravolte.
A cura di Pietro Lorenzetti
Fonte: PiuBenessere.it