Stories

Pieces of life, moments, encounters, events that have inspired and still inspire Professor Lorenzetti's work. Important moments experienced and recounted in the first person by the plastic surgeon that have contributed to shaping the experience of the professional and the conscience of the man. Because, in a job as delicate as that of the plastic surgeon, the integration between the professional's technical skills and his or her extra-occupational qualities is fundamental. Being able to listen to the patient is not something one learns in books but is a quality entrusted to personal sensitivity that a plastic surgeon must absolutely bear in mind when assessing each individual patient.

Lettera ai miei figli

di Pietro Lorenzetti

Cari bambini, ognuno di noi entra in contatto con la bellezza migliaia di volte nel corso della propria vita: voi non lo ricordate, ma eravate nati da pochi minuti quando avete incrociato lo sguardo amorevole di vostra madre, quel momento che non ricordate rimarrà in voi per sempre e forse sarà l’imprinting che segnerà la vostra esistenza, ricercherete quel sorriso dolce in ogni persona che avrete la fortuna di amare. Da quando siete venuti al mondo ho avuto la bellezza sotto gli occhi per un miliardo di volte che custodisco nel cuore e ogni attimo è stato oggetto di gioia e stupore, meraviglia e gratitudine. Le vostre frasi, i sorrisi, le lacrime, le emozioni che ho visto formarsi sui vostri volti, mi hanno fatto capire, quali siano le cose davvero importanti. Siete nati sani, se non è bellezza questa non so cosa sia. L’estrema varietà delle esperienze umane e come in molte di esse si possa scorgere quella che può essere definita bellezza: un gesto generoso, una mano tesa, una parola di conforto, la condivisione di successo o di una vittoria, l’accettazione serena di una sconfitta. Nel mio piccolo mondo di medico e chirurgo plastico, la bellezza non è il corpo o il volto che modifico, ma la gioia e la speranza che questi cambiamenti possono portare nel cuore delle persone. Il più grande chirurgo plastico mai esistito, Ivo Pitanguy, ha affermato che la bellezza è un diritto. Rubo queste sue parole per dirvi che la bellezza nella vita va cercata nel senso di ciò che vi procura un piacere, una soddisfazione, una emozione positiva. La bellezza umana è uno stato mentale e spesso le persone che opero non diventano bellissime come top model ma si sentono belle, e questo cambia tutto, il loro modo di porgersi, presentarsi: miracoli di come il corpo può influenzare la mente. Ciò che voglio dire è che, in maniera spesso inconsapevole il mio bisturi non scolpisce solo nasi e seni, glutei e orecchie ma incide nell’anima, a volte svela, apre, scopre, sblocca, rimuove un’ombra e fa rifulgere la bellezza che ognuno di noi si riconosce. Ma per quanto io possa essere bravo ed impegnarmi, non potrò mai dare la bellezza interiore a chi non abbia almeno un seme da coltivare con pazienza e fatica. Solo la bellezza interiore farà rifulgere quella esteriore se saprete coltivare la generosità e l’altruismo, l’armonia e la pace. Vi auguro che la bellezza esteriore non sia mai una ossessione o un obbiettivo assillante, siate amici affettuosi e sinceri, figli rispettosi, amanti e coniugi fedeli e sarete, ve lo assicuro, bellissimi per sempre.

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La storia della donna più brutta del mondo

di Pietro Lorenzetti

Lizzie Velasquez ha 24 anni ed è affetta da una rarissima patologia genetica, la Sindrome De Barsy che le impedisce di accumulare grasso nel corpo. Il risultato della sua malattia è che questa giovane texana è scheletrica e per mantenersi in vita deve mangiare sino a 60 volte al giorno. Il suo corpo è quindi un fuscello tenuto insieme da un po’ di pelle e genera quel senso di disagio che si ha quando si osserva il corpo innaturale di una anoressica. Lizzie non è anoressica ma ha un volto magrissimo, che appare più vecchio della sua età, scavato, inoltre è cieca da un occhio. Eppure Lizzie è bellissima. Da alcuni anni ha un lavoro prestigioso, fa la conferenziera, viene chiamata in tutta l’America a parlare di motivazione. E’ una ragazza solare e positiva. Le sue conferenze sono piene di passione e spesso si concludono con una ovazione. Dopo pochi minuti che inizia a parlare sul palco non vedi più un corpo, vedi una luce. La sua ‘bruttezza’ è la fonte del suo successo umano: a 16 anni Lizzie ha trovato in rete un suo video intitolato ‘la donna più brutta del mondo’ il che non deve averle fatto piacere, ma dopo un comprensibile periodo di delusione Lizzie pensò che era ciò che ‘faceva’ ciò che l’avrebbe definita e non il suo aspetto. Ha raccolto quindi la sua esperienza, ha scritto due libri e ora gira il mondo a raccontare come si deve sopravvivere ai giudizi degli altri. Racconto questa storia per dimostrare che non esiste un assoluto e che le persone sono fatte di molti elementi: carne, sangue, esperienze, passioni, debolezze e sì, anche aspetto fisico, ma che questo è davvero in fondo alla classifica di ciò che è davvero importante. Se stiamo soffrendo, se siamo delusi, se abbiamo perso qualcuno che amiamo ci accorgiamo immediatamente che l’aspetto non è importante e che anche la bellezza più sfolgorante svanirà con il tempo. Lizzie non è bella fisicamente eppure è bellissima e questo ci dimostra che in ognuno di noi ci sono bellezze di vario tipo e che l’involucro è forse il meno importante. Se stiamo bene abbiamo voglia di prenderci cura di noi eppure quando siamo sereni siamo già più belli perché quello che abbiamo dentro si riflette anche sui muscoli del volto e sulla loro tensione. Se ci ‘sentiamo’ bene ci vediamo bellissimi e viceversa. Se non siamo belli perché la genetica o il divino ha scelto di darci altre qualità, beh, vale la pena di capire quale sia il seme che, coltivato, possa dare il fiore più sfolgorante. Lizzie è una perfetta icona di questo assunto così come una mia amica a cui non importa di apparire e nemmeno di piacere, una donna serena e autonoma che quando incontro mi dice: "scusa Pietro se non vengo da te ma sono troppo impegnata a vivere" e al mio suggerimento di equilibrare la lunghezza del volto con un leggero filler sugli zigomi è esplosa in una fragorosa risata: "proteggere le mie imperfezioni è un vezzo, un lusso, cancellarle sarebbe troppo facile, non voglio essere perfetta, voglio essere umana". Nulla da eccepire.

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Riflessioni estetiche sull'essenzialità

di Pietro Lorenzetti

Johannes Vermeer, pittore olandese nato nel 1632 deve la sua moderna fama presso il grande pubblico agli scrittori che hanno raccontato la storia dei suoi dipinti e in particolare quella romanzata dalla scrittrice Tracy Chevalier nel libro “La ragazza con l’orecchino di perla”. È con piacere quindi che qualche mese fa ho visto a Roma i suoi dipinti, raccolti in una mostra alle Scuderie del Quirinale. Nonostante i dipinti di Vermeer siano pochi (solo 8 dei 37 conosciuti) e nemmeno dei più famosi è stata una occasione unica di immergermi in un'epoca che amo molto per la sua essenzialità: l’Olanda del ‘600 e i suoi tratti fisiognomici che il pittore ha saputo catturare e valorizzare con un tratto quasi fotografico grazie sia all'utilizzo della camera oscura che alla tecnica ‘pointillé’ che prevedeva l'applicazione dei punti piccoli e ravvicinati sulla tela che gli permettono di ottenere colori trasparenti e immagini straordinariamente vivide. La capacità di gestire la luce è incredibile così come l'abilità di fissare sulla tela figure umane eteree, come sospese nel tempo. Me lo immagino, silenzioso e introverso, tormentato dalla ricerca del colore perfetto, teso sulla sperimentazione dei pigmenti che nella descrizione della Chevalier coniuga passione e malcelata ossessione. Tra le righe del romanzo appare solo e perso nella pittura sino a che la giovane serva non lo assiste silenziosa nel suo lavoro in una condivisione che diventa amore, sia pure platonico. Sono volti semplici, pallidi, incorniciati da cuffie bianche che ne accentuano l’essenzialità. Non c'è vanità o bellezza sono volti “trasparenti” che affacciano non sull'anima individuale ma su quella di un paese laborioso e protestante dove il sole tramonta troppo presto. Era sera quando sono uscito dalla mostra e la sensazione dominante è stata quella di sentirmi dissetato dalla perfezione del tratto e dalla capacità di usare il blu in maniera sublime. Nonostante non abbia mai avuto grandi ricchezze in vita, la quale anzi, fu spesso costellata di debiti che lasciò anche ai figli, ricercò sempre i migliori pigmenti rintracciabili all’epoca tra cui i preziosi lapislazzuli che tritati finissimamente servivano a produrre il suo amato blu oltremare che declinava in decine di sfumature. La ricerca del meglio, dell'essenzialità e della pienezza del risultato. Quanti punti in contatto con il mio lavoro. Pietro Lorenzetti

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Piacersi a Natale

di Pietro Lorenzetti

Quest’anno mi faccio un regalo, e investo su me stesso. Le nostre case sono piene di oggetti spesso superflui e la crisi economica ha diminuito i consumi. La gente normale si chiede: “mi serve davvero?” e anche nelle famiglie più abbienti i consumi sono più meditati. Sarà un Natale più sobrio, meno ristoranti e più cene in casa con la famiglia e gli amici. Un intimismo che porta a prediligere i rapporti rispetto ai consumi. Gli italiani non rinunceranno alla tradizione di un cenone con prodotti di qualità e si concederanno comunque un dono personale per gratificarsi. È noto anche negli studi economici che nei momenti di crisi e durante i conflitti la gente non rinuncia a piccole spese che valorizzano la propria persona. Le difficoltà incombono? Aumentano le spese per cosmetici ed estetica. Oggi ai desideri legati a bellezza e benessere si sono aggiunti i ritocchi eseguiti dal chirurgo plastico e gli interventi di chirurgia. Tra l’altro l’inverno è la stagione più adatta e diversi sondaggi hanno rivelato che tre italiani su quattro sono favorevoli alla chirurgia e per la metà di essi il ritocco potrebbe essere una idea regalo ideale. Fare un makeover per sentirsi meglio con se stessi è un desiderio per la metà degli italiani che lo considera uno strumento per piacersi di più ed essere più sicuri con gli altri. Va detto anche che i ritocchi sono sempre più all’italiana e si ispirano all’estetica naturale e armonica delle dive nostrane. Sono le single tra i 35 e i 50 anni le più interessante a migliorarsi: sentirsi più belle le rende più competitive nella ricerca di un partner ma anche nella carriera. Le donne più attraenti infatti guadagnano il 6% in più l’anno e sposano uomini più ricchi. Già nel 1974 Landy e Sigall fecero leggere un saggio a degli studenti divisi in tre gruppi: il primo era indotto a credere che l’autrice fosse bella, il secondo che fosse brutta mentre al terzo non era fornita alcuna indicazione. I giudici uomini giudicarono la bella come più dotata e diedero un voto più alto mentre i giudici donne valutarono il saggio negativamente. E’ solo una delle numerose ricerche che dimostrano come un aspetto attraente abbia un potere persuasivo che viene ricercato e “speso” nelle relazioni. La bellezza non ci protegge dal dolore e dalle delusioni, ma in un momento di crisi economica può essere un fattore di competitività nel mondo del lavoro. In una indagine americana su cui capi del personale di un gruppo di aziende si è verificato che i selezionatori collocano la bellezza al terzo posto dopo esperienza e sicurezza ma prima del curriculum scolastico. Ad essere premiato non è l’aspetto in sé ma caratteristiche come la sicurezza e l’autostima che l’essere attraenti sembra offrire. Va detto inoltre che le persone scelte sono quelle più gradevoli, curate e che si prendono cura di sé in modo naturale. Gli eccessi, nel trucco, nel look o nei ritocchi, sono spesso la spia di un disagio. La chirurgia estetica e plastica deve tendere al risultato soft, poco evidente, ancora di più sul lavoro dove il ricorso continuo al ritocco può essere controproducente. Esiste infatti nel cervello umano una sorta di “recettore” della bellezza che alla vista di qualcosa di esteticamente gradevole risponde con una emozione piacevole, che dal nervo ottico raggiunge il nucleo accumbens, zona del cervello che elabora le sensazioni di ricompensa e di piacere. Un meccanismo che in parte spiega come mai la bellezza sia così ricercata e sia tutt’altro che un elemento futile. Di sicuro sono le donne a vedere il bisturi e siringhe come alleate: desiderio condiviso dal 46% delle donne contro un misero 14% degli uomini (comunque in progressiva crescita giacché sono triplicati in pochi anni). Insomma, si investe più su di sé e meno su oggetti di status. Ritengo che investire su di sé e sulla propria autostima sia sempre una buona idea purché non diventi l’unico ambito di miglioramento e l’unica fonte di benessere interiore. Le persone che ci circondano ci guardano sì, ma ci valutano per le nostre azioni e i nostri pensieri che non possiamo “truccare”. E voi, cosa ne pensate? Ditemelo commentando quì sul blog! Buon Natale a tutti. Pietro Lorenzetti

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Trucco e ritocchi in tempo di crisi

Le riflessioni del Prof. Lorenzetti sul tema

Amo molto l'arte e ad essa mi ispiro nel mio lavoro. Considero arte la pittura, la scultura, l'architettura ma non disdegno affatto la modernità e quindi la fotografia. Tempo fa sono andato alla mostra del famoso fotografo francese Robert Doisneau, noto per l'immagine del bacio del marinaio per le strade della Parigi del Dopoguerra. Le foto mi hanno suscitato una riflessione intensa su come in cinquant'anni sia cambiata la fisionomia delle persone e su come la bellezza non fosse così centrale. Anche se è noto che proprio nei momenti di maggiore tensione sociale e di povertà economica le persone spendano anche minuscoli budget in beni come il rossetto che sono il simbolo di un desiderio di cura di sé. Insomma, da sempre nella storia, l'immagine ha avuto un ruolo centrale, ma solo il benessere vero, quello post crisi petrolifera, quello dell'edonismo del periodo di Reagan ha fatto decollare l'uso del make up. Se ricordo le donne della mia infanzia, ben poche erano solite truccarsi e proprio il rossetto, più o meno rosso, era l'unico cosmetico ammesso. Anzi, alcune donne hanno iniziato a concedersi un po' di matita e di mascara solo in tarda età, per recuperare un pizzico di tempo perduto. Essere belle era meno facile, gli artifici o gli strumenti erano infinitamente minori, non esistevano affatto, ad esempio, i fondotinta che oggi permettono di avere una pelle luminosa e levigata, al contrario esisteva e aveva un grande effetto il Pancake, il fondo lanciato da Max Factor che usavano le attrici americane e che rappresentò una pietra miliare. Poter usare il fondotinta era come poter perfezionare una tela che a quel punto poteva essere decorata a piacere e con il benessere economico, insieme alla tv e al frigorifero, si diffusero anche i colori, il verde e l'azzurro sfacciato per occhi bistrati, perfezionati da lunghe linee di eyeliner, più o meno spesse a seconda dell'epoca. Le donne hanno sperimentato tutta la gamma dei colori possibili con accostamenti che ancora oggi possiamo ammirare o deprecare nelle sfilate. In tempo di crisi però, l'austerity colora anche i volti: vanno di moda il nero, il grigio, il verde in tutte le sfumature e il rosa cipria mentre sul volto impera il 'nude look' con sfumature impercettibili che rendono il viso perfetto. Naturalezza anche nella richiesta dei ritocchi, delicati, appena intuibili. Le persone sembrano volere che io cancelli dal loro volto la preoccupazione per un futuro percepito quanto mai come incerto. Vogliono credere che il tempo della speranza sia ancora più lungo, che abbiano ancora tempo di giocare le proprie carte, che passi questo momento buio. Se è possibile non dico di no, ognuno trova in sé la risposta, ognuno ha diritto di scegliere la propria strada, le persone non mi chiedono di non invecchiare, ma di dar loro un po' di tempo prima che sia inevitabile o visibile. Abbiamo uno strumento, possiamo usarlo più o meno bene, certamente rispetto alle foto di Doisneau non possiamo non considerare che le persone di quelle immagine avevano una aspettativa di vita più breve e che le donne a 50 anni erano considerate al tramonto. Anacronistico no? Pietro Lorenzetti

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