Stories

Stories of plastic surgery

Pieces of life, moments, encounters, events that have inspired and still inspire Professor Lorenzetti's work. Important moments experienced and recounted in the first person by the plastic surgeon that have contributed to shaping the experience of the professional and the conscience of the man. Because, in a job as delicate as that of the plastic surgeon, the integration between the professional's technical skills and his or her extra-occupational qualities is fundamental. Being able to listen to the patient is not something one learns in books but is a quality entrusted to personal sensitivity that a plastic surgeon must absolutely bear in mind when assessing each individual patient.

L'importanza del sorriso

Le riflessioni del Prof. Lorenzetti sul tema

Il sorriso è dovuto a una struttura anatomica e meccanica estremamente complessa azionata da undici muscoli diversi e da una struttura di tessuti tridimensionale e dinamica. Agire e rispondere adeguatamente alle richieste di ringiovanimento di questa porzione del volto su cui si concentra l’attenzione dello sguardo, in contesa con gli occhi, non è semplice. Anche perché il sorriso è composto da varie strutture denti, gengive e ossa. Gli elementi del sorriso perfetto sono l’armonia e la simmetria tra la parte esterna della bocca, rappresentata dalle labbra, il sostegno interno della bocca e la regolarità dei denti. Può essere necessaria una valutazione complessiva che si estende dal campo del chirurgo plastico e prevede una consulenza odontoiatrica, ortodontica e, in alcuni casi, maxillolabiale-facciale. Mi capita di vedere belle labbra, ritoccate anche con gusto, che poggiano su denti irregolari, affollati, di dimensioni inadeguate, opachi, non perfettamente bianchi. Gli elementi di attrazione del volto sono quelli più mobili, che formano le espressioni, quindi gli occhi e la bocca. Mi spiego: la bellezza, comunque, è un insieme estremamente complesso ed è fatto anche di elementi evocativi. È bello quello che suggerisce o evoca un’emozione, quello che ricorda un altro sorriso di una persona amata, ma soprattutto i dettagli che ci rendono unici, come un labbro superiore più grande, fuori canone, che può diventare un elemento irresistibile. Pensiamo al diastema dell’attrice Lauren Hutton, che presenta anche un lieve strabismo che non le ha comunque impedito di essere considerata una delle donne più belle del mondo, e che mantiene il suo fascino immutato anche dopo i cinquanta anni. Oppure il neo di Cindy Crawford, che spezzava in maniera sensuale una bellezza “troppo” perfetta, e quindi fredda e inaccessibile. Ecco allora come anche il difetto (un incisivo non dritto) diventa una caratteristica di valore e non necessariamente un elemento da correggere. Per tornare alle labbra esistono dei parametri e delle proporzioni individuate già da Leonardo e ancora valide, ma il chirurgo non può agire su tutto, deve limitarsi a valorizzare il bello che c’è, e possibilmente riequilibrare il troppo o il troppo poco. Una bocca molto grande e pronunciata, con labbra molto piene, può essere resa più naturale e gradevole solo con una dentatura regolarissima e dalle dimensioni contenute, che si può ottenere ad esempio con l’applicazione di faccette in ceramica. Labbra giovani ma sottili possono essere rese più evidenti con uno sbiancamento che ne faccia risaltare il vermiglio e con una piccola dose di acido ialuronico che ne riequilibri il volume. E' necessario conoscere l’anatomia del labbro e rispettarla: spesso vediamo bocche, che possiamo definire “gonfiate”, che assumono l’aspetto “a papera” o “a canotto”: significa che non è stata valutata e rispettata l’anatomia tra prolabio e vermiglio, che le salienze (arco di cupido, colonne filtrali e tubercoli labiali) non sono state rispettate, che si è aumentato il volume del labbro superiore senza tenere in considerazione adeguata quello inferiore. Le persone sono tese alla ricerca di un canone di bellezza più o meno universale ma è quasi un'utopia. Meno dello 0,5 % della popolazione è naturalmente molto bella. Negli altri si alternano spesso con armonia caratteristiche piacevoli e difetti. Quando viene da me una persona, non vuole trasformarsi in Belen o in Claudia Schiffer, ma ha un’idea del proprio miglioramento ideale e desidera perseguirlo. I pazienti vogliono quindi che la propria immagine interiore corrisponda a quella riflessa nello specchio, con un intervento anche piccolo riescono a integrare nella mente quello che vedevano come un difetto, lo “risolvono”. La scelta del ritocco alla bocca deve essere valutata con grande attenzione, perché il volto è una struttura in perenne dinamismo e perché si modifica sia la struttura cutanea, che tende a cedere con il tempo, sia la parte ossea, che va incontro a usura, determinando successivamente le depressioni del derma e delle pareti muscolari. La bella bocca ritoccata a 25 anni può non rispondere alle esigenze di una cinquantenne, e non dimentichiamo che la sicurezza di questo genere di interventi e la qualità eccelsa dei materiali devono essere la filosofia da seguire sempre. Per questo io caldeggio sempre l'uso di filler riassorbibili a base di acido ialuronico. Pietro Lorenzetti

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Smile lipt

Quando la moda condiziona il corpo

L’ultima folle tendenza in tema di modificazione del volto viene dall’Asia e si chiama ‘smile lipt’ ed ha, a mio parere, un aspetto grottesco: si tratta di intervenire sui muscoli delle labbra e modificarne i lati ancorandoli in modo che abbiano un sorriso permanente così come riferito anche dall’edizione italiana dell’Huffington Post. Potrei concludere qui e non aggiungere altro perché ritengo che il commento sia superfluo e che la notizia possa essere archiviata tra le varie ‘follie’ che caratterizzano il comportamento umano. Mi ricorda la notizia di quelle persone che avevano chiesto di farsi limare i denti a punta nel periodo di massimo boom dei film a tema ‘vampiresco’. Che ci fanno ora? Avranno chiesto una copertura per farli tornare normali? O saranno rimasti ormai fuori moda e un po’ fenomeni da baraccone? Il punto è proprio questo, non ho nulla contro le mode, ma le mode sono tante e cambiano continuamente quindi modificare una parte del corpo per una moda può essere molto rischioso e forse anche molto stupido. Chi vuole ‘sorridere sempre’? Il volto umano è formato da una molteplicità di muscoli proprio perché deve esprimere le centinaia di emozioni umane, un vero e proprio sistema di comunicazione non verbale. Modificare una parte così importante significa azzerare la possibilità di una comunicazione corretta. Così come un uso eccessivo della tossina botulinica, il suo uso in mani inesperte fissa i lineamenti del volto e degli occhi impoverendo la magnifica capacità del viso di comunicare sentimenti e stati d’animo. È grottesco pensare quindi che una persona i cui lineamenti siano modificati in un ‘sorriso permanente’ possa esprimersi ed essere compresa. Temo addirittura degli squilibri psichici pensando ad un sorriso che nei momenti di dolore e di rabbia si tramuti in un ghigno come quello di un Jocker o di un clown condannato ad una espressione fittizia che non corrisponde al ‘sentire’ interiore. La mia valutazione è negativa non solo in chi faccia richiesta di un intervento estremamente scorretto ma soprattutto nei confronti del medico che lo pubblicizza affermando che non ci sia ‘modo migliore per ringiovanire un viso’. Mi spiace collega, non sono proprio d’accordo. E spero che questa moda insana e assurda rimanga confinata nel circondario della clinica coreana dove viene eseguita se non proprio bandita dalle società scientifiche di chirurgia plastica mondiali. Pietro Lorenzetti

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Chirurgia estetica e benessere psicologico

Ritrovare l’armonia

11 Novembre 1918 – 11 novembre 2018. Pochi giorni fa si è ricordato il centenario dalla fine della Prima Guerra Mondiale. Un evento terribile ed eccezionale, combattuto con un impiego di forze e, purtroppo, perdite di vite mai visti prima: non soltanto i 37 milioni di morti stimati, ma anche un grandissimo numero di mutilati, invalidi e feriti di guerra. Mi sono soffermato a riflettere su questo tragico evento storico che nei primi del Novecento ha segnato la storia dell’Europa e del mondo, ma da una prospettiva differente, quella della mia disciplina, considerando soprattutto le implicazioni psicologiche ad essa connesse. La chirurgia estetica è intimamente legata alla Prima Guerra Mondiale. In che modo? Molti dei feriti riportarono serie lesioni facciali e la medicina del tempo dovette misurarsi con questa nuova e cruda realtà. In questa occasione, la sfida lanciata dalla Guerra alla medicina spinse dottori e scienziati ad inventare nuovi strumenti e nuove tecniche: è così che specialmente la cosmetica e la chirurgia ricostruttiva si fecero foriere di innovazioni, permettendo di salvare migliaia di vite. Moltissimi soldati riportarono gravi lesioni facciali ed ustioni, principalmente a causa di esplosioni e proiettili riempiti di schegge. Le conseguenze di menomazioni al volto di tale entità possono essere ben immaginabili: dagli impedimenti fisici nel vedere, bere e parlare a quelli più psicologici, come difficoltà a socializzare, insicurezze sul proprio aspetto ritenuto grottesco. Perdere una porzione del volto come gli occhi e il naso, la mandibola o la mascella ha spesso portato le vittime a cadere ancora più profondamente nel disturbo da stress post traumatico a causa delle loro deformità. Come potevano soldati e civili feriti tornare ad una vita “normale” dopo aver vissuto un evento così tragico e portarne i segni permanenti e disastrosi sul proprio volto? È così che medici e chirurghi si sono interrogati e sfidati proprio per riparare a questi danni, sviluppando nuove tecniche per dare ai pazienti un sollievo e beneficio prima di tutto fisico, ma più intimamente psicologico. Nel 1917 Sir Harold Delft Gillies, chirurgo neozelandese dell’arma britannica effettuò il primo intervento di chirurgia estetica facciale, a beneficio di un soldato ferito nella battaglia di Jutland. L’operazione consentì al paziente di recuperare una buona porzione di volto, grazie alla skin flap surgery. Il risultato fu eccezionale e a dir poco straordinario per i tempi e avvenne in quella che viene indicata come la prima clinica nella storia dedicata alle lesioni facciali, il Queen's Hospital a Sidcup, in Inghilterra. Sembra paradossale pensare come lo scenario terribile e cruento di una guerra mondiale abbia fornito al mondo della medicina e dell’anestesia nuovi stimoli, nuove sfide, portando a notevoli innovazioni nel campo della sicurezza del paziente e management del dolore. Durante la prima guerra mondiale furono utilizzati artiglieria pesante, gas velenosi e bombe riempite di schegge con lo scopo di distruggere annientare eliminare gli avversari. L’eliminazione non fu soltanto fisica, ma anche psicologica. Il nostro volto è la maschera con cui ci presentiamo, lo specchio della nostra interiorità. Ma un volto e una mente, seppur distrutti dalla guerra, possono essere aiutati a tornare normali e soprattutto accettabili dal paziente stesso. Ciascuno, in un certo senso, è chiamato dalla vita a combattere quotidianamente delle battaglie, più o meno grandi, e inevitabilmente queste lasciano segni tangibili. C’è chi fa delle proprie cicatrici un vanto, perché rappresentano la prova tangibile che la propria battaglia è stata vinta, una sorta di medaglia al valore. C’è chi invece, vedendo ogni giorno i segni che una spiacevole situazione ha lasciato sul corpo è costretto a rivivere circostanze dolorose. Se purtroppo non è possibile rimuovere chirurgicamente un’esperienza negativa, grazie agli enormi progressi della chirurgia è possibile eliminare gli effetti visibili che essa ha lasciato, aiutando così il paziente nella ricerca della serenità. È proprio questa la missione della vera chirurgia estetica, nata come riparativa ed oggi dedita anche a donare quell’armonia esteriore ed interiore che il paziente ricerca. Pietro Lorenzetti unsplash-logo Stijn Swinnen

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La chimera della bellezza assoluta

Raggiungere la perfezione assoluta con la chirurgia plastica è utopia

Secondo il sondaggio ISAPS del 2015, l’Italia si posiziona al nono posto tra i paesi in tutto il mondo per il numero di interventi estetici. L’intervento più richiesto è la mastoplastica additiva, seguito dalla liposuzione. Un dato assolutamente rilevante riguarda il numero complessivo di interventi svolti, aumentato di circa un milione rispetto all’anno precedente. Partendo da questi numeri è importante tornare su un tema che, come sapete, mi sta molto a cuore: l’importanza di ricorrere alla chirurgia estetica nei casi in cui essa è necessaria, senza cadere negli eccessi. Si può infatti scegliere la chirurgia estetica per le motivazioni più varie, e queste possono essere più o meno legittime, ma è fondamentale rimanere sempre entro alcuni limiti per evitare di generare situazioni che, in alcuni casi, mettono addirittura a repentaglio la salute del paziente. Sono venuto a conoscenza recentemente del caso di Justin Jedlica, un ragazzo di 36 anni che ha subito già oltre 190 interventi di chirurgia estetica guadagnandosi l’appellativo di Ken umano. Ovviamente il numero di interventi cui il ragazzo si è sottoposto non ha nulla a che fare con necessità legate alla salute: Justin sta inseguendo un ideale, la perfezione, ben oltre i limiti della ragionevolezza. Per questo scopo Jedlica ha speso oltre 250.000 dollari in chirurgia plastica, affermando che si fermerà solo quando sarà di plastica al 100%. Non voglio fare lunghe considerazioni sulle scelte prese da questo ragazzo (anche se la componente psicologica mi pare centrale), né valutare l’operato “tecnico” dei “colleghi chirurghi” che le hanno assecondate in maniera irresponsabile. Vorrei però evidenziare come grazie al mio lavoro ho avuto la possibilità di entrare a contatto con storie meravigliose di persone che tramite interventi più o meno invasivi hanno ritrovato il sorriso. Sperare di raggiungere la perfezione assoluta è utopia e la chirurgia plastica non può essere considerata un ponte per raggiungere questa chimera. Mi viene in mente la chiusura del mio libro “Il chirurgo dell’anima”: “vi auguro che la bellezza esteriore non sia mai una ossessione o un obbiettivo assillante, siate amici affettuosi e sinceri, figli rispettosi, amanti e coniugi fedeli e sarete, ve lo assicuro, bellissimi per sempre”. Pietro Lorenzetti

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Il controllo della genetica

di Pietro Lorenzetti

Il 1990 fu l’anno in cui si cominciò a parlare di qualcosa di assolutamente impensabile sino a quel momento, ossia la cura delle malattie, non dopo che esse si fossero manifestate, ma ancora prima, modificando il gene che le avrebbe provocate. Era il frutto della mappatura del DNA umano. La “terapia genetica”, così venne chiamata, avrebbe permesso di curare le malattie ancora prima che si manifestassero e consiste nel trasportare all’interno della cellula malata il gene sano utilizzando un virus appositamente creato. Si tratta di un meccanismo molto complesso che utilizza delle “forbici” molecolari costituite da enzimi per tagliare il gene malato e sostituire il sano. Facciamo allora un esercizio di immaginazione, ed esploriamo la possibilità che sia possibile, agendo sul nostro patrimonio genetico, non solo usare tali informazioni per curare delle malattie, ma dare una possibilità di bellezza in embrione, ossia selezionando alcuni tratti somatici preferiti. Cosa che al momento è parzialmente possibile e del tutto considerata immorale. È facile capire come la selezione dei caratteri genetici in laboratorio abbia molte possibilità, non tutte accattate o accettabili. In alcuni Paesi, infatti, è possibile selezionare il sesso del nascituro o chiedere che alcuni caratteri somatici siano presenti, come ad esempio il colore degli occhi o dei capelli. In barba all’idea che quando arriva un figlio vada bene così com’è, purché sia sano. Ecco quindi un utilizzo “voluttuario” della genetica. In California la banca del seme Criobank offre un catalogo di donatori con particolari caratteristiche somatiche e intellettive: biondi, bruni, ricci, lisci, studiosi, cervelloni, spiritosi, misteriosi, alti, bassi, tutti su un catalogo corredato di foto degli uomini che hanno donato il proprio seme e che mettono in vendita il proprio patrimonio genetico. C’è il tipo alla Johnny Depp, il biondo che somiglia a Brad Pitt, quello che ha sviluppato talento per la musica o le scienze o le lettere e via discorrendo. Basta pagare, peccato che nella selezione alla fine i geni della madre e del padre abbiano lo stesso peso e la cosa rimane un po’ un terno al lotto. Magari spendi ventimila dollari e tuo figlio comunque nasce col naso aquilino di tuo nonno e i capelli ricci e crespi di tua nonna. Le cliniche che invece permettono la selezione del sesso di un bebè sono cosa ormai nota, sposti un cromosoma e la cosa è fatta. Ogni genitore desidera il meglio per suo figlio, la serenità, la bellezza, il denaro, il successo, l’intelligenza, la possibilità. Purtroppo nella mia carriera di chirurgo plastico ho incontrato madri che mi portavano le figlie per farle più belle giacché avevano intravisto in loro la possibilità di essere modelle, attrici o meteorine. Ma selezionare due occhi azzurri alla nascita o un nasino all’insù (che io sappia ancora non è possibile farlo matematicamente) a me pare una forma di consumismo e di controllo un po’ estrema, mi dà l’idea che anche un figlio debba essere ordinato, fatto su misura. Scegliendo per loro come dovrebbero essere stiamo davvero dando una chance in più? Se siamo bruttini e anche i nostri genitori lo erano, comprendo che una persona voglia regalare un aspetto gradevole che potrà avvantaggiarlo nella vita, ma chi vedranno in quel bambino? Credo che sia più giusto che sia l’individuo a scegliere quanto quella faccia gli si addice. Nessuno può intervenire su un aspetto intimo come il rapporto con la propria immagine. Ci sono persone non belle, ma perfettamente a loro agio, che si piacciono, che si vogliono bene, che si accettano, altre per le quali l’aspetto fisico non è affatto importante. Dell’opzione cosmetica sentiremo parlare sempre di più, almeno oltreoceano, alla Sperm Bank Inc. Fertility Center in California scegliere il sesso del nascituro costa 570 dollari in più con una approssimazione del 98%. Mentre il guru della fecondazione artificiale Jeff Steinberg ha promesso che entro il 2010 sarebbe stato in grado di offrire in tariffario la selezione dei caratteri per ragioni puramente estetiche. Resta il fatto che una pubblicistica ricca di notizie del tenore “scoperto il gene di questo e quell’altro” ha messo nella testa della gente che i geni siano più o meno interruttori che si possano accendere e spegnere a piacimento. Mi diverto a dire che la genetica è un po’ come l’oroscopo, non dà risposte certe ma fornisce delle indicazioni, sta all’individuo poi regolarsi di conseguenza. Mi rendo conto che è un paragone poco nobile per la scienza medica, ma di solito funziona. Tutta questa informazione ha un po’ creato un’immagine di infallibilità e onnipotenza e un gap tra le promesse e ciò che è effettivamente possibile fare. Non è cosa dietro l’angolo, ma dopo i geni delle malattie verranno cercati i geni dei caratteri somatici, conosciamo già quello dell’altezza, quello del colore della pelle, forse del nasino all’insù, della mancanza di cellulite e del seno prosperoso. Allora basterà una iniezione, un paio di giorni di degenza e io non dovrò alzare un bisturi limitando anche i rischi di quella che è comunque un’operazione. Saremo in grado forse di modificare un tratto di DNA per evitare di avere un’acne severa, o dare al codice genetico l’ordine di farci crescere il seno dandoci di una buona riserva di ghiandola mammaria, o ancora diremo al nostro DNA di non far comparire le rughe perché produrremo sino a tarda età collagene ed elastina. Una prospettiva senza rischi? Tutt’altro, un monito ci viene dagli animali e dalla tendenza a selezionare le razze per avere caratteristiche desiderabili ma non sempre sinonimo di salute. I bulldog con il loro caratteristico muso schiacciato hanno un naso molto corto che dà problemi di respirazione, razze mantenute minuscole mostrano debolezze degli arti e così via. Ancora una volta, mettendoci le mani rischiamo che la natura si rivolti contro di noi. Quando questo scenario sarà possibile sarò molto occupato a giocare con i miei nipoti e a portarli in giro per il mondo. L’unica cosa che mi incuriosisce è se questa ipotesi futuribile è solo la visione di un uomo con troppa fantasia.

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