Chirurgia plastica e integrazione culturale

La storia di una paziente

26 November 2013

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L'evoluzione umana e culturale non è mai stata così veloce. Come se la tecnologia avesse preso il sopravvento sui propri creatori e li avesse costretti ad una repentina accelerazione, sconvolgendo costumi e comportamenti, sradicando valori. I cambiamenti che avvenivano in centinaia di anni ora si sviluppano in poche decine.
Un esempio lampante è l’azzeramento delle distanze geografiche e la nascita dell’ambiente ‘virtuale’, una dimensione 'altra‘' impensabile sino a 30 anni fa che oggi coinvolge tutti. Anche chi ha solo 40 anni oggi non può che provare un senso di vertigine e straniamento rispetto a quando la TV era in bianco e nero. Dall’avvento del colore in poi è come se avessimo vissuto in un ‘acceleratore’ che ci ha catapultati nel mondo del globale ed infinitamente più piccolo. Un’apertura che porta nelle nostre case l’intera gamma di realtà culturali, umane e, perché no, estetiche.

Proprio la televisione ha portato a conoscenza dei popoli  più poveri di un mondo occidentale ricco e vissuto come ‘terra promessa’, terra delle occasioni. Ecco quindi enormi masse di popolazioni migranti che hanno reso il mondo un melting pot colorato e ricco. Se da un lato questa migrazione giova ai paesi ospiti (la natalità italiana è dovuta all’apporto delle famiglie straniere), dall’altro non è rose e fiori per chi decide di stabilirsi in un paese straniero. Il rischio dell’emarginazione e la tendenza a distinguere tra ‘noi e loro’ è sempre in agguato. In parte si tratta di un meccanismo protettivo delle culture, dall’altro la differenza atavica verso ciò che è diverso.

È il peso di questa distanza che  ha portato da me una ragazza. Figlia di cinesi è nata in Italia e lavora in una azienda internazionale. Quando viaggia si sente a suo agio, ma in Italia percepisce lo stigma indotto dal proprio aspetto. È combattuta ma mi chiede quali sono i margini di riuscita di un intervento che minimizzi i suoi tratti orientali, dal taglio degli occhi alla rotondità del volto. Mi chiede tutto questo con timidezza, quasi timore. Si sente ‘sbagliata’ e fuori posto. Le dico che con qualche intervento potrei limitare l’impatto dei tratti orientali ma che ritengo che il problema sia altrove.

Le consiglio un colloquio con una consulente psicologa e le do un nuovo appuntamento. Un  mese dopo quando torna da me ha deciso di non operarsi più e sembra più sicura e consapevole. Mi spiega di aver scoperto che il disagio derivava da un atteggiamento velatamente razzista della sua famiglia che aveva sempre criticato gli usi e i costumi italiani e che rimasta arroccata in una realtà ancestrale. Avevano vissuto il dover venire in Italia come una sconfitta di cui dolersi e non come una opportunità. E avevano proiettato su questa figlia che parla un italiano perfetto la metafora della non appartenenza lasciano Lyn in una terra di nessuno psicologica: accettata a casa quando parla cinese ma criticata nel suo essere culturalmente impregnata di cultura occidentale.
Un interessante esempio di come la cultura spinga sulla psiche con modalità singolari.

Pietro Lorenzetti

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