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Rinoplastica, la storia di Anna

Le storie della rubrica "L'intervento del mese"
Non sentirsi a proprio agio con quella "gobetta" sul naso e rivolgersi a un chirurgo plastico di nota fama per farla rimuovere attraverso un un intervento di rinoplastica.

«Meno male che ci ho pensato prima di farmi mettere le mani addosso dal professor X. Professionalmente non si può discutere, non avrebbe il nome che ha. Però c’era qualcosa che non mi convinceva: non si può guardare in faccia una persona e in quattro e quattr’otto dire: “Benissimo, non c’è problema, correggiamo quella gobbetta del naso e il gioco è fatto”. Non ha capito niente di me, che sono già abbastanza indecisa e non mi basta un camice bianco che mi dica giusto o sbagliato con un’occhiata. Per fortuna ho aspettato, così ho potuto sentire anche il professor Y, che mi ha guardata, mi ha ascoltata, ha capito che non devo semplicemente togliermi uno sfizio, ma è un problema che mi porto dentro da tanto e lo voglio risolvere con tutta l’attenzione possibile».

Un capitolo fondamentale del percorso di una donna verso la decisione di sottoporsi a un intervento di chirurgia estetica è il rapporto, ma sarebbe meglio dire il confronto, con il chirurgo, una relazione che per sua natura è in grado di portare al più felice coronamento delle esigenze della paziente o, al contrario, a disattenderle con conseguenze piuttosto negative o per gli esiti o per la decisione stessa di intervenire.
Le parole di Anna riportate sopra sottolineano quello che è un elemento essenziale del rapporto che viene a instaurarsi con il professionista, vale a dire la capacità di medico e paziente di entrare in sintonia tra loro, con un reciproco scambio di comprensione da un lato e fiducia dall’altro. Tuttavia, per quanto fondamentale, questa parte dovrebbe venire per ultima, a compimento di un iter che possiamo definire più “tecnico” nella scelta del professionista cui affidarsi e che, se non è in grado da solo di suscitare la necessaria apertura di credito di fiducia da parte della donna, dovrebbe comunque costituirne la base su cui costruirla, ovvero l’esplicitazione del curriculum professionale del chirurgo.

Come per ogni altra specialità medica, anche i rapporti che si instaurano tra chirurgo plastico e pazienti sono “precostituiti” in prima istanza dal principio di “autorità”, per il quale ognuno di noi è pronto a concedere credibilità e autorevolezza a chi presenta i simboli del “potere” e dell’esperienza (il camice bianco, una divisa, una corona…) e per il quale sembrerebbe trasgressivo e quasi irriverente chiedere di vedere l’attestazione ufficiale di tale investitura (la laurea, la tessera di appartenenza a una forza pubblica…). Invece è proprio in questo punto che una paziente dovrebbe intervenire senza timori reverenziali e chiedere gli attestati della vita professionale e delle esperienze riconosciute del chirurgo, là dove, anzi, non è il professionista per primo che le comunica e le rende esplicite ai pazienti. In realtà ci sono diversi elementi oggettivi che possono descrivere la figura professionale del chirurgo e fornire a chi a lui si rivolge un quadro interpretativo: prima di tutto il corso di laurea che ha frequentato, ovviamente, e la specializzazione che ha preso. È chiaro che questi dati, come anche quelli che vedremo più avanti, possono non dire nulla a certi pazienti e quindi non essere significativi o di peso, il fatto che una università o una scuola sia più prestigiosa di un’altra non è un dato così conosciuto dal pubblico, ma c’è da dire che la persona interessata a questo ambito non è sprovveduta come si potrebbe pensare e poi, comunque, tutto questo dimostra l’effettivo svolgimento di un training formale, e il più completo possibile, in un ambito specifico, che richiede un’elevata specializzazione e che ha dirette conseguenze “sulla pelle” dei pazienti.
Quindi ci sono anche altri elementi che dovrebbero essere portati a conoscenza del paziente già al primo colloquio, o prima di affrontare il problema per cui il colloquio viene richiesto, alcuni di natura più formale, altri, forse anche più importanti, di carattere più specifico: tra i primi gli attestati delle scuole di specializzazione che il professionista ha frequentato, il numero degli interventi che ha eseguito mentre frequentava suddetta scuola, le esperienze maturate presso istituti in Italia e gli stage e i corsi di specializzazione completi che ha frequentato in particolare all’estero, e infine se sia iscritto alla SICPRE (la Società Italiana di Chirurgia Plastica Ricostruttiva ed Estetica, ovvero il principale organismo di autogoverno e controllo dei chirurghi plastici), tutti dati importanti e concreti per definire la serietà e il peso delle esperienze fatte.
E in effetti vorrei sottolineare che negli studi all’estero c’è la possibilità di operare in prima persona già durante la frequenza di una scuola di specializzazione, diversamente dall’Italia dove, a causa delle limitazioni legislative vigenti in materia, questo è possibile in misura ridotta, e dunque è più circoscritta l’opportunità di sviluppare subito un’esperienza chirurgica pratica più ampia.
Ci sono poi la pubblicazione di lavori scientifici su riviste specializzate e la partecipazione a congressi in veste di relatore. L’importanza di una rivista scientifica è legata direttamente alla sua autorevolezza, ovvero all’accuratezza con cui il comitato dei revisori controlla il contenuto, i metodi e la dimostrabilità delle ricerche e degli studi che vengono pubblicati. Che un professionista si veda pubblicare un lavoro è un’ ulteriore dimostrazione della sua preparazione e del riconoscimento di cui può godere a livello nazionale o internazionale.

Infine ci sono altri due fattori che ho definito di carattere più personale, ma altrettanto tangibili da parte dei pazienti: la propensione al dettaglio e la propensione alla riflessione. Ritengo che la disposizione del chirurgo a descrivere al paziente con la maggiore accuratezza possibile l’intervento cui chiede di essere sottoposto, sia un segno importante della sua professionalità e preparazione e del rispetto della persona che avanza la richiesta. È diritto del paziente conoscere (e dovere del chirurgo far conoscere) quanti più dettagli possibili della “cosa” cui si sottopone, base indispensabile per una scelta pienamente consapevole e ragionata.
Per quanto autorevole possa essere il professionista cui ci si rivolge, non deve essere sufficiente sentirsi dire: “Non si preoccupi, pensiamo noi a tutto”. A mio modo di vedere, sarebbe per lo meno una mancanza di riguardo verso chi chiede un aiuto. Analogamente, per propensione alla riflessione intendo precisamente il rifiuto della fretta con cui troppe volte molte fasi dell’iter sono affrontate: un’unica visita in cui si parla con la paziente e si fissa la data dell’intervento, non è un buon segno di serietà professionale, come non lo è assecondare prontamente e acriticamente l’apparente intenzione di una paziente di “chiudere” la questione il più velocemente possibile. Dovrebbe entrare nella routine di questo lavoro il fatto che il professionista inviti quasi automaticamente, dopo una prima visita, a una pausa di riflessione per metabolizzare quanto emerge dal primo colloquio, le conoscenze che vengono date al paziente, se questo può cambiare opinione verso l’intervento, se rimane della propria convinzione… tutti elementi che devono avere il tempo di essere verificati in una seconda visita a distanza di giorni, per poter parlare effettivamente di scelte consapevoli.

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