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Cinquanta anni di protesi al seno

Panorama intervista Lorenzetti
A cinquanta anni dal primo utilizzo delle protesi al seno, Panorama dedica uno sepciale all'evoluzione della chirurgia plastica, interpellando al riguardo il Professor Pietro Lorenzetti.

Molto è cambiato dalle prime protesi al silicone impiantate nel 1962 dai chirurghi americani Thomas Cronin e Franck Gerow su Timmie Jean Lindsey, operaia texana madre di 6 figli. Ma oggi la mastoplastica additiva rimane l’intervento estetico più richiesto in Italia e il secondo più praticato al mondo. Un sondaggio eseguito dall’International Society of Aesthetic Plastic Surgeons ha appurato che nel 2010 l’Italia era il settimo paese al mondo per numero di procedure estetiche e, con oltre 75.000 interventi nel corso dell’anno, la mastoplastica additiva è il “ritocco” in assoluto più praticato, seguito a ruota da interventi di lipoplastica (liposuzione, liposcultura) per rimodellare alcune parti del corpo.

La parola d’ordine è naturalezza, in controtendenza con gli interventi che si facevano negli anni Ottanta e Novanta. Assicura Pietro Lorenzetti, specialista in chirurgia plastica, ricostruttiva ed estetica che opera a Milano, Roma e Catania: “Le protesi a goccia danno un risultato naturale. Il segreto dell’intervento sta nella scelta del volume. Tutto quello che si vede di finto e innaturale è legato a scelte di volumi esagerate e sproporzionate rispetto alla struttura della paziente”.

Le nuove protesi con silicone in gel consentono interventi più personalizzati. “Se la paziente ha un seno con base di impianto di 10 cm (da ascella a sterno) non posso mettere una protesi larga 12, perché questa non sarà coperta dal tessuto lateralmente e si vedranno i bordi. Per un risultato corretto la scelta deve cadere su un  impianto moderato, interamente coperto dal volume mammario”. Anche perché il gel solido, rispetto al silicone liquido, aumenta la visibilità, quindi è ancor più importante non esagerare.

La taglia più richiesta è la terza”, assicura Omar Fogliadini, fondatore e managing director di La Clinique, che opera con i propri chirurghi appoggiandosi a strutture private in una ventina di città. “L’aumento più richiesto è di una o due taglie, perché il traguardo è un seno armonioso, appena un po’ più pieno”.

A richiedere l’intervento sono donne che appartengono a due fasce d’età con motivazioni molto diverse. “Dai 18 ai 26 anni, la fascia giovanile vive il disagio di un seno piccolo rispetto ai propri modelli di riferimento, che di solito sono seni già rifatti”, racconta Francesco D’Andrea, professore ordinario di chirurgia plastica alla Seconda Università di Napoli. L’altra fascia importante è quella dai 35 ai 45 anni. “Sono le donne che hanno allattato, il cui seno è sciupato, ha perso volume e si è rilassato. Vogliono recuperare la forma di un tempo e stare meglio con se stesse”.

Ma come la mettiamo con l’allattamento e con gli esami di controllo periodici come la mammografia? Con le protesi cambia qualcosa? “Se metto la protesi nel solco sottomammario”, spiega Lorenzetti, “la paziente ha la totale certezza di poter allattare perché non viene toccata l’integrità dell’areola né dei dotti galattofori”. Per lo stesso motivo anche la mammografia non presenta problemi, perché la ghiandola rimane ben visibile, non è coperta dalla protesi.

Il costo di un intervento di mastoplastica additiva semplice oscilla “da un minimo di 6.000 euro, al Sud, a un massimo di 8.000-10.000 al Nord”. “Le protesi non possono costare meno di 800-900 euro la coppia”, sostiene D’Andrea. “Le migliori costano intorno ai 1.000-1.500 a coppia”, secondo Lorenzetti. Ma il prezzo dell’intervento è dato da tre fattori: le protesi, il chirurgo e la struttura in cui si opera (comprensiva o meno di degenza), e spesso la paziente non sa quanto sta pagando per le protesi perché le viene dato il prezzo totale dell’intervento. In ogni caso, spiega D’Andrea, “meglio diffidare di interventi a basso costo che probabilmente offrono scarsa qualità in uno o più di questi fattori”.

Se c’è qualcosa che il caso Pip ha insegnato è che sulla qualità non si può soprassedere. C’è voluto il caso eclatante delle protesi riempite con silicone industriale per dare nuovo impulso all’idea del Registro delle protesi, che è finalmente entrato in vigore all’inizio di marzo e prevede l’obbligo per il chirurgo di segnalare ogni intervento svolto. “Rappresenta una sicurezza per le pazienti ma anche una garanzia per i chirurghi seri”, spiegano Lorenzetti e D’Andrea, perché l’obbligo di dichiarazione implica l’obbligo di fatturazione e perciò fa emergere il sottobosco di quelli, e sono tanti, che lavorano in nero.

Quanto durano le protesi al gel di silicone? Difficile a dirsi, potenzialmente moltissimi anni, ma essendo in commercio da poco più di 10 anni, non c’è ancora uno “storico” a cui fare riferimento. La paziente comunque, consiglia D’Andrea, “oltre a fare i normali controlli senologici, dovrebbe vedere il chirurgo che l’ha operata almeno una volta all’anno”.

L’ultima frontiera è costituita dal lipofilling arricchito con cellule staminali. “In alcuni casi si può ottenere il riempimento di una mammella svuotata con un trapianto di grasso autologo”, spiega Antonio Montone, docente della Scuola di Specializzazione in Chirurgia Plastica Università “Tor Vergata” di Roma, che adopera questa tecnica su alcune pazienti. “Si preleva il tessuto adiposo da addome, fianchi, cosce o glutei della paziente con una liposuzione e, dopo adeguato trattamento, lo si arricchisce con le cellule staminali adipose autologhe prima di trapiantarlo nel seno”.

Il grasso ha la tendenza a essere riassorbito dal corpo, ma la presenza delle staminali limita questo processo naturale dal 60-70% al 30%. “Arricchendo infatti questo tessuto adiposo con altre staminali prelevate dal soggetto stesso otteniamo un maggior attecchimento del grasso introdotto, e un miglioramento della vascolarizzazione dell’impianto”. Può comunque rendersi necessario un secondo intervento per ottenere il risultato desiderato. Per sottoporsi al lipofilling, parecchio più caro di una normale mastoplastica additiva, occorre avere sufficiente grasso da prelevare e accontentarsi di un aumento del seno contenuto.

Tratto da blog.panorama.it.
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